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IRAN - (2002) di Carla Polastro | per info sul paese click sulla bandiera | |||
Giovedì 11 aprile, tardo pomeriggio: arrivo a Teheran col volo Iran Air da Roma. Cena e pernottamento all'Azadi Grand Hotel (ex-Sheraton), situato nella parte nord della capitale iraniana, nei pressi della Fiera Internazionale.
Venerdì 12 aprile: facciamo colazione con Maryam, una giovane donna dall'aria simpatica ed efficiente, che sarà la nostra accompagnatrice-guida per tutto il viaggio. Lasciamo l'albergo e ci dirigiamo in auto verso l'aeroporto, dove ci imbarcheremo sul volo Iran Air delle 9 per Shiraz. Come il giorno precedente, piove. Dopo diversi anni di siccità, gli iraniani sono felicissimi della cosa. Noi, egoisticamente parlando, un po' meno! Le previsioni meteorologiche per i giorni a venire non sono granché incoraggianti, speriamo che siano sbagliate… Lungo la strada, su molti palazzi, oltre a mega-ritratti di Khomeini e di altri leader religiosi, osserviamo un gran numero di murales che ricordano la guerra Iran-Iraq, uno dei momenti più bui della storia di questo Paese, che ha lasciato nella gente segni profondi e dolorosi. Ne parliamo con Maryam. Anche uno dei suoi due fratelli è stato gravemente ferito in guerra e ci sono voluti diversi interventi chirurgici perché potesse riprendere a camminare normalmente. Per fortuna ora sta bene. Decolliamo con un leggero ritardo e dopo un'ora e un quarto di volo, atterriamo all'aeroporto di Shiraz. C'è molto vento. Fra le nuvole, qua e là, si scorgono sprazzi di sereno. Data la variabilità e conseguente incertezza del tempo, decidiamo di rimandare a domani la visita di Persepoli (principale meta del nostro viaggio in Iran) e di rimanere in città. Lasciati i bagagli all'Hotel Homa, ripartiamo subito per il Mausoleo di Hafez, il grande poeta persiano vissuto nel XIV secolo. L'edificio, un leggiadro tempietto ottagonale, è però molto più recente: risale infatti al 1938. E' circondato da un bellissimo giardino, molto frequentato dagli abitanti di Shiraz, soprattutto in un giorno festivo come questo.
Poco dopo essere risaliti in auto, comincia a piovere… Meno male che non siamo andati a Persepoli! Tiriamo fuori gli ombrelli e facciamo due passi intorno all'imponente Cittadella (Arg) fatta erigere da Karim Khan Zand (1747-79), che fece di Shiraz la capitale del suo regno. Di fronte alla Cittadella (al cui interno c'è ben poco da vedere), nel giardino Nazar, si trova un grazioso padiglione ottagonale, attualmente chiuso per restauri, che ospita un piccolo museo dove sono conservati oggetti appartenuti a Karim Khan. Ci fermiamo qualche istante davanti al cancello, prima di risalire in auto, diretti al Ristorante Sufi: è ormai ora di pranzo. Siamo gli unici turisti presenti, mentre tutti gli altri avventori sono iraniani: un ottimo segno! La cucina, infatti, è ottima e l'ambiente accogliente. Usciti dal ristorante, dovremmo recarci ai giardini Eram, ma ha ripreso a piovere con una certa intensità. Con Maryam, decidiamo di andare prima al Mausoleo Bogh'é-yé Shah-é Cheragh (la tomba del re della lampada), dove è sepolto Sayyed Mir Ahmad, fratello dell'ottavo Imam, che morì - forse fu ucciso - a Shiraz nell'835. Fino ad un paio di anni fa, i non-musulmani non erano ammessi. Ora invece possono entrare, con l'obbligo, per le donne, di indossare lo chador (che viene fornito all'ingresso). La sottoscritta con lo chador è il trionfo della goffaggine! Soprattutto mentre mi toglievo le scarpe… Gianluca si è divertito molto, il maligno, ad osservarmi e temo che non sia stato il solo! Le decorazioni all'interno del mausoleo sono fastosissime, dettate da un gusto a noi del tutto alieno. Frammenti di specchio e lampadari di Murano si sprecano. Bellissime le porte in argento massiccio sbalzato. Entro con Maryam nella parte riservata alle donne. Una donna di una certa età piange disperatamente, appoggiata alla grata che circonda il sepolcro. Altre, sedute sui tappeti che ricoprono completamente il pavimento, sono assorte nella lettura del Corano. Come è prevedibile, sono fatta oggetto di una notevole curiosità, che acuisce ulteriormente il mio disagio. Mi sento sempre così (e Gianluca con me) quando visito "da turista" un luogo sacro. Anche se il nostro atteggiamento è improntato al massimo rispetto, non ci sembra giusto o corretto farlo… Il mausoleo è circondato da numerosi edifici, fra i quali la moschea Jame'-yé Atigh, dalle belle modanature a stalattite al di sopra del portone d'ingresso, ma purtroppo è quasi sempre chiusa. Restituiti gli chador, ci dirigiamo in auto alla volta di un'altra moschea (anch'essa non più in funzione), la Nasir-ol-Molk, del 1888. Ha smesso di piovere, per fortuna e, a parte il custode, all'interno della moschea ci siamo solo noi tre. Essendo destinata al culto privato, è una costruzione relativamente piccola, molto armoniosa. Vi si respira un'atmosfera tranquilla, serena. I rumori esterni vi arrivano molto attutiti, quasi impercettibili, ed il traffico cittadino sembra lontano anni luce. E' piacevole camminare piano per le sale ed il cortile, ammirando i dettagli delle decorazioni, i colori luminosi delle ceramiche. Possiamo finalmente visitare i giardini di Eram (del Paradiso), per i quali Shiraz va famosa. E' persino uscito il sole, sopra di noi si staglia l'arcobaleno. Peccato che sia troppo presto per la fioritura delle rose, ma i giardini sono comunque splendidi. Come ad Olimpia un giorno di maggio, gli alberi di Giuda sono in piena fioritura ed il glicine diffonde nell'aria resa frizzante dalla pioggia il suo delicato profumo. Ci sono cipressi altissimi: gli abitanti di Shiraz affermano che sono il simbolo delle longilinee fanciulle della loro città. Maryam, che è di Teheran, sembra alquanto scettica a questo riguardo!
Le variopinte aiuole sono curatissime e ci sono piante provenienti da tutto il mondo. L'incantevole padiglione al centro dei giardini risale al XIX secolo (epoca cagiara) e vi risiedeva occasionalmente Farah Diba, la consorte dell'ultimo Shah. Attualmente ospita la Biblioteca dell'Università di Shiraz e non è visitabile. Lasciamo con grande riluttanza questo luogo delizioso. La prossima (e ultima) tappa è il Museo Naranjestan Ghavam. Ha sede in un altro bellissimo padiglione ottocentesco, dalle superbe porte intarsiate e dai magnifici soffitti affrescati. Il museo, nel seminterrato del padiglione e che è appena stato riaperto dopo lavori di restauro, ospita oggetti antichi e reperti archeologici di un certo interesse. Ceniamo con Maryam nel ristorante dell'albergo e poi subito su in camera, dove posso finalmente togliermi il foulard. Andiamo a dormire levando preci perché l'indomani splenda il sole. Visitare Persepoli sotto la pioggia sarebbe davvero una disdetta (per usare un eufemismo)… Sabato 13 aprile: alle sette suona la sveglia. Appena alzata, mi precipito a tirare le tende per vedere che tempo fa. C'è il sole!!! Improvviso una sorta di danza indiana del ringraziamento (stile Snoopy). Mi sento euforica: fra qualche ora sarò a Persepoli, luogo tanto a lungo sognato… Facciamo colazione e prima delle nove, battendo tutti gli altri ospiti dell'hotel sul tempo, siamo già per strada, a 57 km. dalla nostra meta. Attraversiamo una regione prevalentemente agricola, con verdissimi campi di grano a perdita d'occhio. C'è poco traffico e la strada è ben tenuta. In tre quarti d'ora arriviamo a destinazione. Già da lontano riusciamo a intravedere la Porta delle Nazioni, il monumentale ingresso a ciò che rimane della sontuosa capitale estiva degli Achemenidi: Takht-é Jamshid, ribattezzata Persepolis dai Greci. Mentre saliamo la prima scalinata, penso ai cortei dei rappresentanti dei Paesi facenti parte dell'impero achemenide. Immagino i lucidi cavalli dalle opulente criniere, il battere degli zoccoli sulla pietra dei gradini, i loro alti nitriti sotto il puro cielo persiano, la ricercatezza dei finimenti. E la lunga fila di uomini: l'eleganza delle vesti, la ricchezza e varietà dei doni, la babele di lingue e dialetti diversi… Gigantesche creature mitiche montano da sempre e per sempre la guardia alla Porta delle Nazioni, ma hanno potuto fare ben poco contro le truppe di Alessandro Magno, prima, e quelle arabe poi. Eppure, nonostante la relativa esiguità dei resti, non è difficile intuire la straordinaria grandezza di questo complesso monumentale, lo splendore che fu Persepoli… Le vestigia più importanti (sfuggite alle devastazioni da parte degli invasori arabi perché sepolte sotto terra) sono i sublimi bassorilievi lungo la scalinata del Palazzo Apadana, destinato ai ricevimenti. Era qui che la gloria ed il fasto degli imperatori persiani raggiungevano il loro apice, la loro espressione più perfetta. Bassorilievi dettagliatissimi, che ci rimandano un mondo squisitamente maschile: Maryam ci fa notare che l'unica creatura femminile rappresentata è una leonessa!
In giro ci sono ancora pochi visitatori. Ci fanno compagnia il cinguettio degli uccelli e grandi nuvole bianche, che si rincorrono nel cielo azzurrissimo. Il calore del sole è addolcito dall'aria deliziosamente fresca. Percorriamo le rovine lentamente, con tutta calma, assaporando ogni istante, ogni particolare. Attraversiamo la Sala Grande dell'Apadana, e via via il Palazzo di Dario (un tempo adorno di pietre preziose), quello di Serse (fatto radere al suolo da Alessandro Magno, in segno di vendetta per la distruzione di Atene ad opera, appunto, delle truppe del re persiano), quello delle Cento Colonne, di cui restano solo le basi, la Tesoreria. Dall'alto sembrano scrutarci le tombe rupestri di alcuni sovrani, fra cui quella di Artaserse II. L'effigie di Dario I il Grande ha resistito al tempo ed alle distruzioni, come a farci capire che questa, nonostante tutto, è ancora casa sua, che dobbiamo soprattutto a lui un tale gioiello. Entriamo nel museo, che è piccolo e dall'aria molto polverosa e dimessa. I pezzi esposti sono di scarso interesse, poiché i reperti più importanti sono stati portati al Museo Nazionale di Teheran (nonché al Louvre di Parigi, grazie al fatto che, a scavare qui negli anni '30, sono stati degli archeologi francesi). Dopo l'inevitabile sosta al book-shop, lasciamo il sito da dove eravamo entrati, la Porta delle Nazioni. Facciamo ancora qualche foto ed è con enorme rammarico che lasciamo questo luogo così affascinante. A sei chilometri da Persepoli, scavate nella roccia come i monumenti di Petra, si trovano le quattro tombe di Naghsh-é Rostam, che si suppone appartengano a Dario I, Artaserse, Serse I e Dario II. I bassorilievi, alcuni dei quali di pregevolissima fattura, sono di epoca più tarda. Dovrebbero infatti risalire al III secolo, a ricordo di un momento particolarmente glorioso della storia persiana: la vittoria del re sasanide Shap-r sull'imperatore romano Valeriano, che aveva avuto la (pessima) idea di invadere il Paese.
Di fronte alle tombe si ergono i resti di un edificio dalla destinazione incerta: forse un Tempio del Fuoco di epoca achemenide, forse un'altra tomba. L'erba tutt'intorno è disseminata di miriadi di papaveri, incantevoli macchie di colore. Il vento fa ondeggiare l'erba verdissima che, fra qualche settimana, diventerà grano, e pare di essere nel bel mezzo di un mare color smeraldo. Ci fermiamo a mangiare nel solo ristorante della zona, il Laneh Tavoos (nido di pavone). Il posto è molto carino, in mezzo al verde, ma la cucina non è granché. Probabilmente approfittano del fatto di essere in "regime di monopolio"! Dopo pranzo ritorniamo a Shiraz (rinunciando alla visita di Pasargade, sito - a detta di tutti - di gran lunga meno interessante di Peserpoli). La prima sosta è alla Porta del Corano (Darvazé-yé Quran), ai margini della città. Dall'alto di questo complesso si gode una bellissima vista di Shiraz (compresa artistica aiuola a forma di pavone). E' qui sepolto Kharju-yé Kermani, un poeta-eremita, che trascorse buona parte della sua vita in una grotta a pochi passi dal sarcofago. Un'altra grotta, un po' più in alto, ospita una simpatica casa da tè, molto frequentata dai giovani della città. I bassorilievi, lì accanto, dopo quelli di Persepoli e Naghsh-é Rostam, ci appaiono di fattura piuttosto grossolana (ad essere gentili), ma la loro collocazione è senz'altro molto suggestiva.
Ritorniamo in centro, per visitare la Madrasé-yé Khan, un'ex-scuola coranica, ora in fase di restauro. La parte più antica dell'edificio, che nel corso dei secoli è stato più volte rimaneggiato, risale al 1615 e la dobbiamo all'imam Gholi Khan, governatore del Fars (provincia della quale Shiraz è la capitale). Nel 17° secolo ospitava un centinaio di studenti. Doveva essere molto piacevole studiare nella quiete del cortile-giardino, con l'immancabile vasca, all'ombra dei grandi alberi. Le pareti sono ricoperte di meravigliose ceramiche, dove predominano il blu, il giallo, il rosa. Decidiamo di tornare in albergo, per bere una tazza di tè (senza ombra di dubbio la bevanda nazionale iraniana), nella fresca hall che dà sul bel giardino fiorito. Alle 18,30 ci dirigiamo verso l'aeroporto, per il volo Iran Air delle 20.25, destinazione: Isfahan. Arriviamo in perfetto orario, recuperiamo le valigie ed usciamo dal terminal: del nostro autista (che arriva da Teheran) nessuna traccia… Maryam, visibilmente irritata, non perde un colpo e ci fa portare in albergo in taxi. Arrivando nei pressi dell'Hotel Kowsar ("paradiso" in arabo), possiamo ammirare il Ponte dei 33 Archi, reso particolarmente suggestivo dall'illuminazione notturna . Un quarto d'ora dopo, ecco "svelato il mistero". Shahrom (non rispondo della correttezza ortografica del nome!), che è ancora nuovo del mestiere, ci è andato a prendere dalla parte sbagliata dell'aeroporto. Poco male, siamo arrivati comunque alla meta. Essendo ormai le 22 passate, è troppo tardi per cenare al ristorante dell'hotel e ripieghiamo quindi sul suo coffee-shop. Mangiamo velocemente qualcosa (si fa per dire, il servizio è lentissimo) e filiamo a dormire: è stata una giornata davvero piena!
Domenica 14 aprile: Isfahan merita in pieno l'antico soprannome di "metà del mondo". E' una città a dir poco stupenda! Ha un verdeggiante lungofiume, antichi ponti dalle accoglienti case da tè, superbe moschee, eleganti palazzi, affascinanti giardini, atelier di artisti colmi di squisite miniature… Da dove poteva cominciare la nostra visita, se non dalla meravigliosa Emam Khomeini Square (che gli abitanti della città continuano però a chiamare col nome originale: Naghsh-é Jahan, "disegno del mondo"), dichiarata Patrimonio Mondiale dell'Umanità dall'UNESCO? Da questa vastissima piazza, 500 x 160 m., emana un'armonia bramantesca, ed è circondata da edifici uno più impressionante dell'altro. Incominciamo, naturalmente, con la Moschea dell'Imam (XVII sec.), simbolo di Isfahan, che pare rivestita di cielo, che si rispecchia a sua volta nell'azzurro delle sue ceramiche, rendendolo ancora più luminoso e brillante. Penetrare al suo interno significa provare un'emozione dopo l'altra, immergersi in un mondo fatto unicamente di bellezza. Le sue dimensioni sono grandiose, le decorazioni di una raffinatezza straordinaria.
Ma Isfahan riserva un'infinità di tesori e dalla Moschea passiamo al Palazzo di Ali Ghapu, eretto nel '700, dalla grazia aerea. Ci appoggiamo alla balaustra della terrazza, ad ammirare il panorama della piazza e della città. Peccato che ci sia parecchia foschia, oggi. Ma la cosa più bella del palazzo è sicuramente la "sala della musica", all'ultimo piano, dagli originalissimi intagli a forma di strumenti musicali e di vasi. Sulle pareti, negli affreschi, ritorna continuamente il fiore detto di abbasi. Sulla piazza ci sono diverse carrozzelle, con attaccati cavallini dalle membra delicate, segno evidente di sangue arabo. Risaliti in auto, ci rechiamo al ponte più antico della città, il ponte Shahrestan, che risale addirittura all'epoca sasanide (224-637), anche se gran parte della struttura che vediamo oggi è del XII secolo. Si sta così bene qui, lungo il fiume Zayandé, circondati dal verde dei suoi giardini, rinfrescati dalla leggera brezza primaverile. Dopo un'ulteriore sosta al magnifico ponte Khaju, il più riccamente decorato dei ponti di Isfahan, ed una capatina nel giardino dell'Hotel Abbasi, antico caravanserraglio, pranziamo - ottimamente - al Ristorante Shahrzad. Poiché fino alle 15,30 è tutto chiuso, torniamo per un'oretta in albergo. Nel pomeriggio visitiamo un'altra moschea dal grande fascino, miscuglio di stili ed epoche diversi, quella del Venerdì (Masjed-é Jame'). Nelle prime sale, di una semplicità "romanica", risalenti al 13°-14° sec., il silenzio è pressoché totale, fatta eccezione per il canto degli uccelli. Una luce morbida, ambrata, filtra dalle finestre. L'ombra delle grate, sul pavimento, sembra un ricamo.
Nel cortile centrale troviamo molti studenti di Belle Arti intenti a disegnare dettagli delle decorazioni o della struttura architettonica. All'improvviso un nutrito stormo di uccelli si libra in volo ed il cielo sembra prendere vita. Un custode dice qualcosa a Maryam e ci fa segno di seguirlo. Toglie il lucchetto ad una porta e ci fa entrare in un locale immerso nella penombra, completamente spoglio se non per un magnifico mihrab scolpito. Rimaniamo parecchi minuti in contemplazione di questa meraviglia, finché il suddetto custode apre un'altra porta, che dà su una sala a forma di tenda mongola, molto suggestiva. Il pavimento è coperto di tappeti, poiché è ancora usata come sala per la preghiera.
Visitata la parte più recente della moschea, la lasciamo e, attraverso il bazar, ritorniamo alla macchina. Decidiamo che è il momento giusto per un po' di relax ed una buona tazza di tè (tanto per cambiare!). Maryam e Shahrom ci accompagnano alla deliziosa casa da tè del Ponte Chubi, gremita degli oggetti più eterogenei, che le danno un aspetto curioso ed accogliente. Ci sediamo nella nicchia di una finestra, ovvero l'unico posto ancora libero. Sembrerebbe un posto molto popolare! Anche qui i clienti sono per la maggior parte giovani, molte le coppie di innamorati (lo capisci dagli sguardi, poiché è superfluo dire che le effusioni in pubblico sono tabù, in Iran). A parte una coppia di anziani signori di Montpellier - i turisti francesi sono di gran lunga i più numerosi al momento - Gianluca ed io sembriamo essere i soli stranieri presenti. Dopo qualche minuto di attesa, arriva il vassoio col tè e dei pasticcini secchi davvero squisiti. Gianluca si "lancia" ed ordina anche un narghilè, che gli conferisce un'aria molto da "sultano"… Maryam sentenzia che lo fuma con l'allure di un autoctono!
Prima di rientrare in albergo, ci fermiamo per qualche foto al Ponte Si o Se (dei 33 Archi), affollatissimo di gente che fa le "vasche" dopo il lavoro. Ci sono tantissime ragazze, solenni ed aggraziate nelle vesti in genere scure (ma se ne vedono anche in beige). Alcune hanno volti dall'ovale perfetto, che sarebbe piaciuto al Perugino, ed un incarnato simile all'avorio ben levigato. C'è chi ha l'aria assorta in pensieri che non conosceremo mai, altre parlano fitto fitto con le amiche, scoppiando spesso a ridere. Dopo una doccia in albergo, la giornata termina con la cena al Ristorante Tac (uva), dal décor un po' anonimo, ma dove si mangia bene.
Lunedì 15 aprile: oggi la prima visita in programma è quella alla Cattedrale di Vank, fatta erigere fra il 1655 ed il 1664, allorché Abbas I decise di far venire ad Isfahan un gran numero di artigiani e mercanti armeni. Jolfa (dal nome della loro città di origine) è ancora il loro quartiere (anche se attualmente vi abitano anche molti iraniani) e la Cattedrale è il loro più importante luogo di culto. L'interno è un curioso cocktail di stili: cristiano-europeo e mediorientale-islamico. L'effetto estetico finale è - diciamolo francamente - della serie "pugno in un occhio", ma interessante dal punto di vista culturale.
Di fronte alla chiesa si trova il Museo Armeno, stamane meta di un folto gruppo di studentesse. Per molte di loro, Gianluca ed io sembriamo essere più interessanti degli oggetti esposti nelle bacheche… Piccolo inciso: se andate in Iran, preparatevi a rispondere dovunque (e sottolineo dovunque) a due domande "fisse", ovviamente in inglese: "What's your name?" e "Where do you come from?" Ma queste domande sono rivolte con un tale garbo e grandi sorrisi, che rispondere è una gioia. Nella prima sala c'è una grande vetrina, con terribili foto e filmati a testimonianza delle sofferenze patite dal popolo armeno, le torture ed i massacri perpetrati dai turchi, ennesimo esempio dell'infinita crudeltà dell'uomo sull'uomo. Il pensiero corre subito al mio Papà, sempre dalla parte degli oppressi e dei "perdenti della storia", che conosceva praticamente a memoria I Quaranti Giorni del Mussa Dagh… Fra gli oggetti esposti, due sono quelli che ci hanno colpiti in modo particolare: il libro più piccolo del mondo, del peso di 0,7 gr., stampato in Germania in epoca ignota, recante il testo del Padre Nostro in diverse lingue; un capello su cui è stato inciso un versetto della Bibbia, dai Proverbi. Davanti ad alcune opere ci chiediamo cosa abbiano a che fare con gli armeni, ad esempio una piccola copia de La Belle Jardinière di Raffaello. Forse l'ha dipinta un artista armeno… Lasciamo Jolfa e ritorniamo in centro. Shahrom ci fa scendere davanti ai cancelli del Museo e Parco Chehel Sotun, ovvero il famoso padiglione delle quaranta colonne. In realtà sono venti ed il riflesso nella vasca dovrebbe farle raddoppiare. L'origine del nome, però, starebbe nell'uso persiano del numero 40 per indicare "molti".
Questo posto è un vero incanto. Il padiglione, come tutti gli edifici di epoca safavide, ha una grande eleganza e decorazioni sontuose. Il giardino, molto vasto, è ricchissimo di alberi e di una notevole varietà di piante e fiori. Anche qui abbiamo incontrato molti studenti intenti a disegnare. Maryam condivide questa passione, molto diffusa fra gli iraniani, soprattutto le donne. La Emam Khomeini Square non è lontana e quindi la raggiungiamo a piedi, per andare a visitare la Moschea dedicata al suocero di Abbas I, lo Sceicco Lotfollah, un predicatore molto noto nel XVII secolo. Essendo destinata al culto privato, come la Nasir-ol-Molk di Shiraz, è di dimensioni ridotte, un autentico piccolo gioiello! Rimaniamo incantati davanti all'armonia delle proporzioni, alla raffinatezza delle decorazioni. I colori delle ceramiche sono quelli tipici dell'epoca safavide e per i quali Isfahan è famosa nel mondo: anche in questa moschea, predominano l'azzurro ed il blu, le tinte del cielo, le tinte del Paradiso. Oggi optiamo per il pranzo in albergo, al ristorante Zarrin (dorato), dall'arredamento sobrio e cucina discreta. Alle 15,30 ci rimettiamo in marcia, alla volta di Kaladyn, all'estrema periferia della città, dove si trovano i cosiddetti "minareti oscillanti" (in farsi Manar Jomban), che sono sotto restauro e probabilmente non oscilleranno mai più. Qui è sepolto Abu Abdollah. I minareti risalgono al XVII secolo, mentre la tomba è del XIV. A causa dei restauri in corso, il monumento è coperto dai ponteggi e quindi decidiamo di limitarci a guardarlo dall'esterno. A circa 1.500 metri in direzione ovest, in cima ad una collina, si stagliano le rovine di un tempio del fuoco di epoca sasanide, in mattoni di fango, noto come Ateshkadé-yé Esfahan. Ci fermiamo il tempo di una foto, per poi tornare in centro.
Ci rituffiamo in un'oasi di verde e di tranquillità: il Parco Shahid Raja'i, che ci accoglie con una splendida fontana dagli alti zampilli. All'interno del parco si erge l'ennesimo padiglione di epoca safavide, Hasht Behesht, ovvero degli "otto paradisi". Pare vi risiedessero le mogli e concubine del sovrano, ognuna nel proprio appartamento. Ritroviamo lo stesso stile di affreschi e di intagli che avevamo già ammirato nel palazzo di Ali Ghapu il giorno precedente. Siamo a pochi passi dall'Hotel Abbasi e decidiamo di "concederci" una bella tazza di tè (naturalmente!) nel suo incantevole giardino. Ci sediamo, in compagnia di Maryam e Shahrom, su di una panchina coperta di cuscini, sotto un cielo che sembra della più pura porcellana, circondati dalle aiuole fiorite. Su di una palma cresce addirittura il glicine! Si sta così bene qui, resteremmo per sempre… All'ombra la temperatura è perfetta, mentre i raggi solari esaltano i colori della vegetazione. Sarà uno dei ricordi più vividi e piacevoli di questo breve soggiorno in Iran: questo cielo terso, l'atmosfera rilassata, il tè bollente e profumato, i sorrisi scambiati con le persone che ci passano davanti. Gianluca approfitta del business centre dell'Abbasi per scaricare la posta elettronica (al Kowsar, in questi giorni, non era funzionante il collegamento ad Internet), dopodiché facciamo ritorno in albergo, in attesa di andare a cena in un locale molto simpatico, dove si mangia bene, il Nikan (bravi), frequentatissimo dalla jeunesse dorée di Isfahan. Dopo cena facciamo due passi sulla Emam Khomeini Square, una favola nella soffusa luce dei faretti. Assaporiamo questi istanti, tutta questa bellezza intorno a noi, il cielo stellato, i monumenti che paiono incantati, irreali. Sarà dura, domattina, lasciare questa meravigliosa città!
Martedì 16 aprile: torniamo a Teheran in auto, per poter visitare, lungo la strada, Kashan e Qom. Partiamo qualche minuto dopo le 8,30 e la prima sosta è davanti alla cittadella in mattoni di fango di Torogh Roud, a 105 km. da Kashan. Scattiamo una foto e riprendiamo il cammino. La strada corre ai margini del deserto Dasht-é Lut. All'orizzonte, onnipresenti, i Monti Zagros. Fino a dove può giungere lo sguardo è il grigio a dominare. Grigio il paesaggio, color antracite il cielo, percorso da enormi nubi minacciose. Di tanto in tanto un raggio di sole viene a mitigare il senso di desolazione. All'improvviso - miracoli dell'acqua! - la strada attraversa villaggi e cittadine-oasi. Come dal nulla, ecco apparire campi di grano e vasti frutteti in fiore, case, gente, animali. Le coltivazioni sono rese possibili da un sistema, antichissimo, di canali sotterranei, detto ghanat. Arriviamo a Kashan intorno alle 11 e ci rechiamo subito a 4 km. a nord-est della città, al sito archeologico di Tappé-yé Seyalk. Una volta sul posto, ci sorge spontanea la domanda: "Cosa ci siamo venuti a fare?" Nel senso che non c'è assolutamente niente da vedere, fatta eccezione per una collinetta di terra che ai nostri occhi di profani non dice proprio nulla. I reperti che sono stati scavati qui sono ora al Museo Nazionale di Teheran ed al Louvre di Parigi (la storia si ripete!). Restiamo più o meno 30 secondi, risaliamo in auto e ci dirigiamo verso un mausoleo del periodo cagiaro (XIX sec.), Shahzadé-yé Ibrahim. E' un piccolo santuario dalle proporzioni armoniose, le decorazioni hanno il fasto tipico dell'epoca. Non ci sono altri visitatori e regna una calma assoluta. Il cortile-giardino è un welcome change dopo l'aridità del Dasht-é Lut. La nostra meta successiva è uno dei più noti giardini persiani: Bagh-é Tarikhi-yé Fin. Lo volle Abbas I, che veniva spesso a soggiornarvi, e doveva rappresentare l'idea che i Persiani avevano del paradiso. Anche qui si rinnova il mito di Narciso: l'acqua, limpida e fresca perché proveniente da una sorgente di montagna, è dappertutto, scorre veloce in una fitta rete di piccoli canali. Il suo rumore ci accompagna nel nostro girovagare. D'estate, quando la temperatura diventa torrida, dà una sensazione di frescura, ci racconta Maryam, come l'aria che filtra dalle grate delle stanze semi-interrate. Grazie a queste ultime ed alle torri di ventilazione, i Persiani riuscivano a sfuggire alla calura estiva, ben prima (e in modo più salutare) che venisse inventata l'aria condizionata!
Prima di venir via, visitiamo il bagno turco dove, nel 1852, venne ucciso il popolarissimo Mirza Taghi Khan, meglio noto come Amir Kabir, primo ministro e cognato di un re cagiaro. Pare che ad armare la mano dell'assassino sia stata la madre del sovrano, e quindi suocera di Amir Kabir. Ritorniamo in centro, per visitare due magnifici esempi di residenze private del periodo cagiaro: la Broojerdis House e la Tabatabaeis House. Quest'ultima, da poco restaurata, è particolarmente suggestiva. Non ci sono più mobili, ma le ricche decorazioni danno un'idea piuttosto precisa dello stile di vita delle famiglie mercantili della Kashan del XIX secolo. Si sono fatte le 13,30 e si avverte un certo "calo degli zuccheri": è il caso di andare a pranzo! Risaliamo in auto e ci rechiamo al Ristorante Delpazir (delizioso), gestito da Jane, una simpatica signora inglese, dal marito iraniano e dai loro figli. Un'ora dopo, eccoci nuovamente in viaggio: prossima fermata Qom. Qom è una delle città sante più importanti del Paese e l'atmosfera che vi regna è assai diversa da quella di Teheran o Isfahan. Qui le donne devono obbligatoriamente indossare il chador. Maryam ed io, con i nostri impermeabili, facciamo macchia! Gianluca capta alcune occhiate non proprio amichevoli, ma la maggior parte della gente sembra ignorarci. Come è noto, i non-musulmani non possono entrare nel mausoleo di Fatima, veneratissima sorella dell'ottavo Imam, e perciò, scattata una foto dal portone d'ingresso, risaliamo in macchina. Facciamo ancora una sosta-lampo sul Ponte Masumeh per un'altra foto ed imbocchiamo l'autostrada per Teheran. Fra Qom e la capitale si estende il Darxay Namak, lago salato, dalle dimensioni ragguardevoli. In Iran, ci informa Maryam, tutti i laghi sono d'acqua salata. Foto e ultimo tratto di strada.
Arriviamo a Teheran in piena ora di punta (quando si dice il tempismo!), allorché il traffico, già normalmente caotico, arriva a livelli da Inferno dantesco! Pensavo, ingenuamente, che i cairoti fossero gli automobilisti più folli del pianeta, ma sono dei dilettanti a confronto degli abitanti di Teheran. Dopo un po', Gianluca ed io non osiamo nemmeno più guardare fuori dai finestrini. Shahrom, invece, è imperturbabile, si vede che è abituato a guidare in queste condizioni. Ad un certo punto, per sfuggire all'ennesimo maxi-ingorgo, decide di prendere una scorciatoia, una viuzza a senso unico. A senso unico in teoria, poiché un'auto la sta percorrendo tranquillamente contromano. Ciò comporta svariate manovre per liberare il passaggio. Shahrom, l'altro automobilista ed alcuni passanti si scambiano battute che non hanno l'aria di essere del tutto cordiali e lusinghiere. Finalmente riusciamo a imboccare la suddetta stradina. Arrivati in fondo, sopresa! Dove la viuzza si immette nella via principale, c'è un bel cordolo. Pensate forse che Shahrom si sia lasciato scoraggiare? Non sia mai detto! Non potendo in alcun modo fare marcia indietro, passa con l'auto sopra il cordolo, rischiando di giocarsi gli ammortizzatori, il carter e altri pezzi assortiti della Peugeot 405. Apparentemente passiamo indenni e ci rimettiamo in coda. Poco più in là, un colpo di fortuna. Ci imbattiamo in una fila di auto dall'aria ufficiale, Mercedes di grossa cilindrata, lucidissime e senza targa: è un ambasciatore con la sua scorta e sono diretti al nostro albergo, l'Azadi. Così ci fanno da battistrada ed arriviamo a destinazione più rapidamente del previsto. Alla reception, su richiesta della sempre solerte Maryam, ci assegnano una camera al 14° piano, con vista sugli innevati Monti Alborz, che si stagliano nettissimi contro il cielo sereno. La neve, illuminata dal sole, rimanda bagliori quasi accecanti. Ceniamo al 26° piano dell'hotel, al Ristorante Cheshm Andaz (punto panoramico), in mezzo a uomini d'affari e qualche altro turista.
Mercoledì 17 aprile: oggi visiteremo tre musei della capitale. Iniziamo con il più importante, il Museo Nazionale. Ha sede in due diversi edifici: in quello più vecchio sono esposti i reperti archeologici, in quello più recente l'arte islamica. Fra i reperti esposti ci sono pezzi di altissimo livello, quali un bassorilievo proveniente dalla sala delle udienze di Dario I a Persepoli, l'iscrizione, sempre di Dario I, in tre lingue (persiano antico, accadico ed elamita), alcuni grandi capitelli, un'enorme zampa di leone e tanti altri. I reperti provengono essenzialmente da Persepoli, Susa, Rey, Esma'il Abad, Turang Tappé e Tappé-yé Seyalk. Il museo è tenuto molto bene e quasi tutte le bacheche hanno didascalie in inglese. La parte riservata all'arte islamica colpisce soprattutto per l'allestimento museale, davvero splendido. Anche qui ci sono pezzi pregevolissimi, dagli antichi corani, alle ceramiche, agli astrolabi, ai tappeti, alle porte meravigliosamente intarsiate e intagliate. Risaliamo in auto per recarci al non lontano Museo del Vetro e della Ceramica. Entriamo in un bel giardino, che fa da cornice ad una palazzina del periodo cagiaro, rara vestigia della Teheran del passato. Nata come residenza privata, la palazzina è diventata poi sede dell'Ambasciata egiziana, finché, nel 1976, è stata adibita a museo. Gli interni sono molto raffinati, con un'aggraziata scala in legno, cornici di stucco, intagli, bei lampadari. L'allestimento museale, curato da un architetto austriaco ed ispirato alle rovine di Persepoli, è originalissimo e assai ben riuscito. Gli oggetti esposti sono spesso di altissimo livello. Davanti a certe piccole anfore di vetro, delicatissime e squisite, ci chiediamo con stupore come abbiano potuto arrivare fino a noi attraverso i millenni e le travagliate vicende storiche di questo Paese. Evidentemente protette dalla sabbia, ora sono qui, a raccontarci di epoche lontanissime, a darci un'idea della straordinaria raffinatezza delle corti persiane. Mentre eravamo all'interno del museo, la nostra auto è rimasta bloccata da un'altra vettura. Lasciamo Shahrom alla ricerca di chi possa spostarla ed andiamo a piedi fino all'Hotel Ferdosi (dal nome del poeta vissuto nel 10° secolo), a poche centinaia di metri dal museo, dove pranzeremo. Mentre passiamo davanti ad uno dei numerosi ministeri presenti in zona, un uomo ci augura, in inglese, "buone vacanze": chissà come avrà fatto a capire che siamo dei turisti? La cosa, naturalmente, ci fa molto piacere e vorremmo che succedesse anche ai turisti stranieri in Italia. L'accogliente Ristorante Zeitoon del Ferdosi ha un buffet ottimo ed abbondante, al quale facciamo subito onore. Mentre stiamo terminando di mangiare, arriva Shahrom, che è riuscito a liberare l'auto e può finalmente pranzare anche lui. Ci sediamo per un po' nella hall dell'albergo ad aspettare Shahrom, per poi recarci al Museo dei Tappeti. Fuori c'è un'afa soffocante, resa ancora più insopportabile dall'inquinamento. Farei volentieri a brandelli il foulard che ho in testa… Facciamo due passi nel Parco Lalé, quasi deserto a quest'ora, ma neanche qui troviamo sollievo dall'afa. Speriamo che all'interno del museo l'aria sia più respirabile! La sede del Museo dei Tappeti è un padiglione a due piani, in cemento, circondato da un giardino ben curato. Dallo stile, si direbbe costruito negli anni '70. Anche qui l'allestimento è stato studiato per mettere al meglio in evidenza i pezzi esposti. Non ci sono tappeti particolarmente antichi (il più antico risale a 500 anni fa, ma la maggior parte è stata fabbricata nel XIX e XX sec.), ma il livello qualitativo è, ovviamente, eccezionale. Sarebbe stato sorprendente il contrario, in un Paese come l'Iran! Usciamo dal museo e ripresa l'auto, ci dirigiamo verso la periferia occidentale di Teheran, per fotografare il simbolo per eccellenza della città, il monumento Azadi (libertà), fatto erigere dall'ultimo Shah nel 1971, in occasione del 2500° anniversario dell'impero persiano. E' a forma di Y rovesciata e alto 45 metri, con un bello slancio verticale. Fino a poco tempo si poteva salire in cima con un ascensore, ma ora non è più possibile. Il monumento è circondato da impeccabili parterre di erba e fiori, a testimonianza dell'ininterrotta passione persiana per i giardini. In tutta la città, infatti, si trovano grandi aiuole perfettamente curate, quasi incongrue ma graditissime nel traffico e nel grigiore che, purtroppo, caratterizzano Teheran. Una capitale di 14 milioni di abitanti, cresciuta troppo velocemente, senza il minimo piano regolatore, con il risultato di creare un agglomerato urbano decisamente brutto e quasi invivibile. Stavolta riusciamo ad anticipare l'ora di punta e torniamo in albergo in un lasso di tempo ragionevole. Ritroviamo con piacere la grande vetrata della nostra camera, con lo scenario dei monti divenuto già famigliare. Stasera a cena diremo arrivederci a Maryam, con la quale ci siamo trovati veramente bene e a nostro agio. Domattina, ad un'ora a dir poco antelucana (le 4,30!), sarà qualcun altro ad accompagnarci in aeroporto, oltre al fido Shahrom. L'appuntamento è alle 19, nella hall, per poi salire al 26° piano e cenare al Ristorante Polaris, ex-discoteca dell'hotel (tutti i locali notturni sono severamente vietati). Il panorama è lo stesso che vediamo dalla nostra stanza: i Monti Alborz e, più in basso, un mare di cemento e auto. In Iran, uomini e donne che non abbiano fra di loro vincoli di parentela non possono stringersi la mano in pubblico. Per questo motivo, sentendosi un po' ridicoli, Gianluca e Maryam si scambiano una stretta di mano in ascensore, una volta lasciato il ristorante. A questo riguardo, però, abbiamo notato che gli uomini iraniani hanno atteggiamenti molto diversi fra loro. Alcuni, ad esempio, si sono scusati di non potermi dare la mano, altri, come Shahrom, me l'hanno data più volte senza apparenti problemi. Abbiamo comunque notato che le cose stanno cambiando molto rapidamente, in questo Paese, rispetto ai racconti fatti da nostri amici che sono stati qui soltanto qualche anno fa. E ci è stato confermato da un gruppetto di ingegneri italiani incontrati al Kowsar di Isfahan, che vengono per lavoro tutti i mesi, da parecchi anni. Come è ovvio, tali cambiamenti sono più evidenti in città come Teheran e Isfahan, dove abbiamo visto molte donne vestite di colori chiari, con i capelli abbondantemente visibili, truccate ed ingioiellate, coppie che si tenevano per mano, tutte cose inaudite fino a qualche tempo fa. In Parlamento è ferma una legge che consentirebbe alle donne straniere di non mettere il foulard, ma gli esponenti più conservatori la bloccano perché consapevoli che, tempo sei mesi, anche le iraniane non sarebbero più disposte ad indossarlo.
Giovedì 18 aprile: ci alziamo prima delle quattro, in una sorta di coma vigile. Alle cinque siamo in aeroporto e, grazie al funzionario dell'agenzia locale, sbrighiamo tutte le pratiche a tempo di record. Abbiamo ben due ore di attesa prima del decollo del volo per Roma! Per non parlare delle quattro ore che dovremo far passare a Fiumicino, fra l'arrivo da Teheran ed il volo per Torino… Insomma, ci si prospetta una giornata davvero eccitante! Alle 14 passate finalmente arriviamo a Torino Caselle, recuperiamo bagagli e auto e ci dirigiamo verso le dolci colline astigiane, le colline di casa nostra.
Nota sull'abbigliamento femminile Come ho scritto prima, le norme sull'abbigliamento femminile si sono alquanto ammorbidite, negli ultimi anni. La foto qui a fianco sono io ad Isfahan: due punti ancora "fermi" sono il foulard in testa (che però, come vedete, può essere di colore chiaro e non coprire del tutto i capelli) e le maniche lunghe. Ma non è più necessario, salvo casi particolari, indossare palandrane scure, che arrivino alle caviglie o giù di lì. E' consigliabile un abbigliamento più "austero" per passare il controllo passaporti e la security e per visitare i luoghi sacri, nei quali - comunque - si deve in genere indossare un chador o dove è proibito entrare ai non-musulmani. A proposito della security negli aeroporti, sembrano sparite, per fortuna, le perquisizioni personali. Noi, perlomeno, abbiamo riscontrato un'indifferenza pressoché totale. Superfluo dire che uomini e donne passano attraverso "canali" separati, ai controlli di sicurezza.
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