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BOTSWANA - Africa Australe (1999) di Carla Polastro | per info sul paese click sulla bandiera | |||
Il mio fedele compagno di viaggio, Gianluca (che casualmente è anche mio marito!) ed io siamo arrivati in Botswana dallo Zimbabwe, patria, insieme allo Zambia, delle mitiche Cascate Vittoria (piccola nota a margine: se andate a vedere le Cascate Vittoria in una giornata di vento, non disturbatevi a fare la doccia al mattino. Ve la faranno le cascate medesime! E non sto parlando di qualche spruzzetto qua e là, ma di una sorta di nubifragio monsonico! Vedere per credere…) e del Parco Nazionale dello Zambesi, dove abbiamo avuto il raro privilegio di vedere tre rinoceronti, ormai drammaticamente in via di estinzione.
Ci hanno caricati su di un pulmino insieme ad una famiglia olandese con bimbo piccolissimo al seguito (ho subito pensato, noi italiani non lo faremmo mai!) e via, verso nuove ed esaltanti avventure! Destinazione: Kasane, porta d’ingresso del Parco Nazionale Chobe. Lungo la strada, a due corsie e ben asfaltata (le province di Asti ed Alessandria dovrebbero trarne esempio!…), abbiamo visto parecchi animali, ma Gianluca è riuscito a fotografare solo un elefante e delle giraffe, le uniche di tutto il tour. Un consiglio pratico, che non c’entra niente con le foto, ma con le vostre finanze sì. Se entrate e uscite dallo Zimbabwe più volte, non fate lo stesso nostro errore, dettato dall’ignoranza (e dall’inefficienza di chi avrebbe dovuto informarci): invece di pagare ogni volta il visto d’ingresso o di uscita, chiedete un visto multiplo, che vi farà risparmiare un po’ di soldini. Inoltre, dato che il Dollaro dello Zimbabwe non vale neppure la carta su cui è stampato e il Paese ha un disperato bisogno di valuta pregiata, questi visti vanno pagati esclusivamente in Dollari USA e le autorità dello Zimbabwe ci vanno giù pesanti!
Arrivati a Kazungula, all’incrocio tra quattro Paesi, Botswana, Zambia, Namibia e Zimbabwe, abbiamo passato la dogana, pagando il visto d’uscita dallo Zimbabwe e riempendo svariati moduli (una costante per tutto il viaggio!), e dopo alcuni chilometri siamo giunti a Kasane. Di questa cittadina, che credo viva del fatto di trovarsi ai margini del Parco Nazionale Chobe, non c’è molto da dire. E’ un po’ una Los Angeles in sedicesimo! Non c’è un centro vero e proprio, ma si riduce piuttosto ad una lunga strada affiancata da alcuni edifici dall’aria abbastanza recente e da tante casupole. Si respira comunque un’aria di maggior benessere che in Zimbabwe, almeno questa è stata la nostra impressione epidermica.
A Kasane siamo scesi al Cresta Mowana Safari Lodge, che la Lonely Planet definisce (a pag. 496) l’edificio più bello del Botswana (non che ci sia granché concorrenza, aggiungo io!), progettato da un architetto polacco. Mowana significa baobab in setswana: l’albergo è stato infatti costruito intorno ad un baobab di dimensioni notevoli. Durante i lavori di costruzione, un fulmine ha scatenato un incendio che ha distrutto albero ed edificio. Sono stati prontamente rimpiazzati entrambi. E’ veramente una struttura ricettiva molto gradevole, con camere e suite arredate in modo caldo ed accogliente, con tanti oggetti dell’artigianato locale. L’anno precedente il Mowana Lodge aveva ospitato i Clinton, ma suppongo che a loro avessero dato una suite: i soliti privilegiati!
Tutti i lodge della zona offrono pacchetti tutto compreso che, oltre ai pernottamenti ed ai pasti, prevedono anche safari fotografici in diversi momenti della giornata, in jeep o motobarca.
Dopo aver sistemato i bagagli in camera e le abluzioni di rito, siamo andati a fare due passi in giardino, dov’era intento a brucare l’erba un…facocero! Se da noi in giardino trovi cani o gatti, in Botswana ci trovi i facoceri! Gianluca ha subito provveduto a fotografarlo e a dargli un nome: Cicero… Lui, naturalmente, ci ha completamente ignorati e ha continuato il suo pasto serale!
Il bar del Mowana ha una splendida vista sul fiume Chobe (affluente dello Zambesi): ci siamo quindi goduti un aperitivo con tramonto mozzafiato. Un’autentica esplosione di colori, dal rosso vivo, all’arancio, al blu cobalto. Questi sono i momenti che prediligo, colmi di serena bellezza, che posso condividere con la persona che conta di più per me al mondo e che vanno a nutrire il bagaglio dei nostri ricordi.
Fast forward al mattino dopo, con la prima escursione, in jeep, del Parco Nazionale Chobe. Dal punto di vista faunistico, c’è chi lo considera il più interessante dell’intero continente africano. Quello che posso dire io è che di animali se ne incontrano veramente a frotte! Gli unici di cui abbiamo visto solo le orme nella sabbia lungo il fiume sono i maculati. E’ superfluo dire che gli appostamenti notturni non sono previsti nei pacchetti tutto compreso e, comunque, si può rimanere appostati per settimane e non vedere neanche l’ombra di un maculato.
In compenso abbiamo visto centinaia di elefanti (secondo recenti stime, ce ne sono almeno 70.000), bufali, facoceri, ungulati, ippopotami, rettili e uccelli.
N.B. Se spesso indicherò i nomi degli animali in inglese è perché non sono riuscita a trovare il corrispondente in italiano. Chi li conoscesse è cordialmente invitato a “illuminarmi”!
Dato che mi avete chiesto un resoconto dettagliato (cosa di cui ormai vi sarete già amaramente pentiti!), mi accingo ad essere un po’ più precisa per quanto riguarda gli avvistamenti di animali. Per la prima volta in vita mia, ho visto dei ground hornbill, uccelli dall’aspetto un po’ buffo (loro pensano probabilmente la stessa cosa di me!) e che sicuramente non corrono il rischio di estinguersi! Ce ne sono veramente un casino! Altri uccelli che hanno attirato la nostra attenzione sono stati le aquile pescatrici (numerosissime), gli avvoltoi (idem), diverse specie di martin pescatore, graziosissime egrette, African jacana, oche egiziane e alcuni altri che non siamo riusciti ad identificare. Fra gli ungulati che vivono a Chobe, Gianluca ha immortalato impala e kudu, ma abbiamo avuto la rara fortuna di avvistare anche degli incantevoli bushbuck che, essendo molto timidi e diffidenti, ben di rado escono allo scoperto durante il giorno. L’autista della jeep non credeva ai suoi occhi!
Ippopotami ne abbiamo visti e fotografati in quantità industriali… Dall’autista-guida abbiamo appreso che è l’animale che fa più vittime umane, nel corso di un anno, in Africa. Nonostante la loro aria pacioccona, se ti ci avvicini troppo… sei morto. La maggior parte di queste vittime (più della loro imbecillità che degli ippopotami…) sono turisti che si avvicinano troppo per scattare foto o filmare.
Isolata dagli altri, abbiamo visto una “mamma-ippopotamo” con il suo cucciolo di poche settimane. Sarebbe rimasta così per sei mesi circa, fino a quando il suo piccolo (si fa per dire!) non avrebbe più corso il rischio di essere ucciso dai maschi del branco. Anche gli elefanti avevano seguito il dettame crescete e moltiplicatevi. Non vi dico che tenerezza le elefantesse con i loro cuccioli sempre accanto (o alacremente impegnati a succhiare il latte)! Il ricordo più vivido è di uno di questi elefantini che non riusciva a risalire la sponda del fiume, troppo scivolosa per lui. Allora è intervenuta sua madre che con la proboscide lo ha spinto su, nella sicurezza del branco.
Gli elefanti, in un numero così esorbitante, pongono gravi problemi al fragile equilibrio dell’ecosistema di Chobe, sia per quanto riguarda la vegetazione (sono la versione a quattro zampe degli Unni!), che le risorse idriche. Sono state avanzate parecchie proposte (ad esempio spostare alcune migliaia di esemplari in altre zone), ma il governo del Botswana finora non ha preso alcun provvedimento, almeno a livello ufficiale.
Chobe “pullula” anche di coccodrilli e di altri rettili, quale il water monitor, una lucertola acquatica di dimensioni ragguardevoli.
Un incontro “imprevisto”, data l’ora (era ormai tarda mattinata), è stato quello con due leonesse, languidamente sdraiate all’ombra di un albero. Ma di leoni riparlerò un po’ più in là.
Quando il sole ha cominciato a picchiare duro, l’autista ci ha proposto un piccolo break accompagnato da bibite fresche: l’idea è stata accolta da esclamazioni anglo-italo-olandesi di viva approvazione! Mentre, all’ombra di un boschetto, sorseggiavamo le suddette bibite, sono sbucate fuori miriadi di piccole manguste, attirate dalla nostra presenza. Questo boschetto è un’area da picnic e quindi le manguste sono abituate a ricevere gustosi bocconcini dai turisti (nonostante i divieti…). Queste mangustine sono di un carino folle, tanto che ne avrei portato a casa un paio ben volentieri. Non so però cosa ne avrebbero pensato i nostri cani (fast food molto peloso?). Quando si sono accorte che eravamo dei turisti inutili, cioè senza vettovaglie, se ne sono tornate nelle loro tane.
Rientrati al lodge, abbiamo fatto uno spuntino ai bordi della piscina, dopodiché siamo ripartiti alla volta del Parco, questa volta in motobarca (della serie “turisti a cottimo”!). L’escursione sul fiume Chobe ci ha permesso di osservare gli animali da un’altra prospettiva, giusto nelle ore in cui si avvicinano al fiume per abbeverarsi.
La famiglia olandese a cui ho già accennato si trovava sulla motobarca davanti alla nostra. Per permettere ai suoi passeggeri di fotografare degli elefanti più da vicino, il pilota ha fatto finire l’imbarcazione dove l’acqua è troppo bassa e l’elica è rimasta incastrata nella sabbia. Risultato, la poppa si è abbassata troppo e la barca si è rapidamente riempita d’acqua. Gli olandesi, naturalmente, non hanno perso il loro aplomb (il bimbino non si è nemmeno svegliato!) e, bagnati fradici, hanno guadagnato la riva. Nel giro di pochi minuti è arrivato un pulmino che li ha riportati al lodge. Per fortuna, nessuno è rimasto ferito (tranne l’orgoglio del pilota, che ci “implorava” di non immortalare la scena!). Purtroppo, però, gli olandesi hanno dovuto rinunciare a buona parte dell’escursione.
Per noi, rimasti all’asciutto (nel senso stretto del termine!), il clou è stato sicuramente il tramonto: un’emozione fortissima, che certo non dimenticheremo.
Il giorno seguente, sveglia ben prima dell’alba, per un altro giro in jeep. E questa volta… incontro ravvicinato (ma non troppo, per fortuna) con due leoni ed una leonessa. Gianluca, per essere sicuro di avere almeno un paio di foto decenti, ne ha scattate la bellezza di 14! Nessuno può dubitare così del fatto che ABBIAMO VISTO DEI LEONI… Incredibile ma vero, c’è chi è stato a Chobe e non ne ha visto nemmeno uno!
Più tardi nella stessa giornata, siamo stati accompagnati all’aeroporto di Kasane, dove ci attendeva, insieme ad una coppia di tedeschi che avevamo già incontrato nel deserto del Namib (quando si dice seguire itinerari inusuali…), un Cessna 206. Non nuovissimo, ma dall’aria decisamente meno inquietante del decrepito elicottero di fabbricazione sovietica che ci aveva portati da Aguas Calientes a Cuzco l’anno precedente!
Il bello di volare con un aeroplano così piccolo è che ti puoi godere il panorama sottostante (in questo caso prevalentemente savana). C’è stato un primo “scalo” sulla pista del campo tendato dov’erano diretti i tedeschi, dopodiché abbiamo proseguito per Camp Okavango (per trovargli il nome devono proprio essersi spremuti le meningi!), gestito dalla Desert & Delta (pag. 524 della Lonely Planet). In tutto, un paio d’ore di viaggio.
Arrivati a destinazione, sono stati subito gli alberi della salsiccia (Kigelia africana), che sono caratteristici del Delta, ad attirare per primi la nostra attenzione. L’aria era permeata dal profumo della salvia selvatica, così intenso da dare quasi alla testa.
Siamo stati accompagnati alla nostra tenda, dove abbiamo pranzato. A Camp Okavango (o in strutture analoghe) non si fa precisamente campeggio! Le tende, erette su grandi piattaforme di legno, sono arredate come eleganti camere d’albergo e hanno il bagno!
Nel pomeriggio abbiamo effettuato una splendida escursione in canoa. E’ stato forse il momento più emozionante e memorabile di un viaggio che oserei definire comunque “perfetto” nella sua interezza.
Come a Chobe, fauna e flora sono un sogno. Abbiamo incontrato branchi di ringed (o common) waterbuck e di red lechwe (ungulati), coccodrilli, aquile pescatrici e un martin pescatore “malachite” dalle tinte vivacissime.
Io adoro le ninfee (come Monet!) e quelle del Delta dell’Okavango sono veramente incantevoli. Il tramonto ci ha fatti immergere in un’atmosfera magica, con i suoi colori, il suo silenzio, la dolcezza dell’aria quasi immota… Ho sotto gli occhi le foto scattate in quei momenti e provo una nostalgia lancinante. Temo di essere stata colpita in pieno dal Mal d’Africa….
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